LUCA BELCASTRO / Libri / Estratti / Abel Soledad - I. Preludio
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Luca Belcastro
Abel Soledad
LIBRO - in italiano (Moretti&Vitali 2013)
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- I -
PRELUDIO


  È giugno. Un uomo siede di fronte al respiro calmo e regolare del mare, sulla spiaggia di una località sperduta nel profondo Sud. Una spiaggia deserta, incastonata tra promontori rocciosi che cadono a strapiombo sull'acqua trasparente, con riflessi verde smeraldo, e punteggiata da scogli lambiti dal ritmo delicato della schiuma delle onde.
  Sul litorale, si affaccia un piccolo centro abitato, che palpita solamente durante il breve periodo delle vacanze estive e sopravvive dimenticato durante il resto dell'anno. L'attuale aspetto esteriore del luogo, immobile e desolato sotto la forte luce del sole, sembra voler riflettere l'animo del suo ospite silenzioso e solitario, con l'indifferenza di uno specchio impenetrabile.
  
  È giunto da alcune ore, al termine di un ennesimo viaggio. Una costante della sua vita. Con un movimento incessante, continua una fuga ormai abituale, una fuga da ogni realtà possibile e dall'incapacità cronica di alimentare relazioni interpersonali durature, che potrebbero aiutarlo a trovare un centro di equilibrio e una stabilità emozionale. Un'incapacità che non riesce a lasciarsi alle spalle nemmeno utilizzando i più veloci mezzi di trasporto. Un'incapacità che soffoca in lui qualsiasi impulso vitale.
  "Ciò ch'è stato, sarà." Nell'ultimo anno si è ripresentata con incredibile forza questa frase sentenziosa, che da sempre risiede nella sua mente, a volte latente negli angoli più reconditi e misteriosi. Si è imposta nuovamente da quando, l'estate precedente, è ritornato da un lungo e denso periodo di viaggi esotici senza mete definite. Dopo aver avuto l'energia di intraprendere itinerari lontani alla ricerca di se stesso e di un senso per la propria esistenza, era approdato a una realtà per lui familiare, con un'amara sensazione di sconfitta.
  Confidando solo in un'analisi superficiale dell'attuale situazione, si potrebbe dire che quell'interminabile periodo di viaggi avventurosi e destabilizzanti non abbia avuto nessun successo nella prospettiva di un approfondimento della conoscenza personale. In realtà, ha lasciato in lui una traccia ben marcata, indelebile. Anche se i meccanismi di sempre, tornati alla ribalta con prepotenza, sembrano essere momentaneamente più forti, opponendosi al processo di cambiamento che aveva innescato viaggiando lontano. Forse, durante i suoi itinerari liberi non è riuscito ad affrontare e a risolvere definitivamente i propri automatismi caratteriali, che ora riconquistano spazio, si rinnovano senza nessuna pietà, annullano il suo luminoso e multicolore mondo interiore nella profondità di un nero cupo e uniforme.
  Dopo il ritorno, si è riproposta in lui l'inerzia devastante che lo aveva bloccato nel passato. Così, si ritrova di nuovo nel patologico isolamento che aveva già vissuto mille volte. I suoi sempre più rari slanci ed entusiasmi sono ora soffocati con regolarità da una sterile attesa insoddisfatta di qualcosa che non arriva mai.
  Dalla data del rientro, inoltre, si è caricato di nuovo sulle spalle il pesante fardello di tutte le occasioni, le scadenze della vita che non ha saputo cogliere durante i decenni della sua esistenza, il rimpianto di tutte le opportunità che ha lasciato cadere dietro di sé. Un carico che, con il tempo, aumenta sempre più di volume.
  Avverte l'inquietante impressione che non ci sia più tempo per tutto quello che non ha vissuto nel momento in cui si è presentato. Sente che è già troppo tardi per ricominciare, anche per le diminuite energie e per le risposte meno immediate del suo fisico che, dopo aver perso l'attrattiva armonia e l'elasticità giovanile, ha intrapreso la sua ormai inevitabile fase discendente. Nonostante i suoi sforzi intellettuali per convincersi del contrario, non riesce a liberarsi da questa zavorra mentale che rallenta progressivamente il ritmo dei suoi passi, impedendogli di proseguire fluidamente nel cammino.
  Negli ultimi tempi, il suo stato d'animo lo ha fatto sentire inutile, a se stesso e agli altri. Ha vissuto questa sensazione completamente bloccato fino a che, d'improvviso, una domanda è risuonata più volte e inesorabile nella sua mente: "Come porre fine a quest'agonia senza un'apparente soluzione di continuità?" Una domanda impellente che lo ha spinto di fronte all'immensità del mare, nella speranza di ascoltare i suoi suggerimenti e di ricevere dalle sue profondità una risposta illuminante.
  E così, è ora seduto sulla spiaggia in una posizione che lo induce a una calma e rilassata meditazione. Nonostante ciò, è agitato dal chiacchierio continuo dei suoi pensieri. Mille conversazioni differenti, apparentemente senza senso e incoerenti, abitano la sua mente e creano un brusio di fondo che si affianca al rumore consolatorio del mare, il cui ritmo regolare, pulsante e vivo, lo avvolge e lo accompagna dolcemente. Insieme al soffio del vento, sembra volerlo tranquillizzare.
  
  All'arrivo nel paesino, ha ritrovato i volti caratteristici che aveva conosciuto l'estate precedente, subito dopo il rientro dai suoi viaggi lontani. Stava visitando per la prima volta il piccolo centro abitato e, immediatamente, lo aveva associato a loro. Ora, grazie alla sua ferrea memoria visiva, i tratti somatici marcati e peculiari gli fanno rivivere l'emozione di quell'esperienza che aveva dato il via all'ultimo duro anno, durante il quale il passato è ritornato con forza in primo piano.
  Camminando per le stradine del centro, ha incrociato di nuovo i passi lenti degli abitanti. Li ha seguiti con attenzione, osservando quegli esseri umani impegnati in un tranquillo movimento. E la sua capacità immaginativa si è subito accesa, facendogli nascere nella mente mille fantasie su di loro. Mille impressioni e supposizioni che, come spesso gli capita nel suo andare continuo, non hanno potuto ottenere una conferma dalla realtà.
  Generalmente si convince che non ci sia nessuna possibilità di verificare le sue ipotesi, semplicemente per il fatto di non poter rivivere, con chi incontra, gli avvenimenti che hanno punteggiato la loro vita passata. Li può solo immaginare. Non era presente per condividerli direttamente quando si svolgevano, e ora è già troppo tardi. Tra l'altro, pensa che la quantità di persone che incontra ogni giorno nei suoi spostamenti sia così grande da rendere impossibile il rapporto con ciascun individuo, che finisce per perdersi nel numero. E volendo condividere pienamente il momento stesso dell'incontro con tutti, nella prospettiva di creare un futuro, lo sforzo sarebbe immenso. Per di più, spesso li vede solo per brevi periodi, o addirittura attimi, e non ci sarebbe nemmeno il tempo per provarci. E così evita del tutto di farlo.
  Si giustifica in questo modo, ma la realtà è che non cerca di conoscerli neppure attraverso quello che potrebbero raccontargli. Com'è sua abitudine, si limita a osservarli e li lascia scorrere dietro di sé, li fa sfilare rapidamente a un tempo passato e li immagazzina nella memoria quasi con indifferenza, senza arrischiare un contatto, senza cercare di conoscere un po' della loro storia.
  
  Nonostante li abbia rivisti solo ora dopo la visita dell'estate precedente, le espressioni vissute degli abitanti locali lo hanno convinto che ogni anno che trascorre disegni la pelle dei loro visi di solchi sempre più profondi. Segni indecifrabili e criptici, che ha interpretato come scavati dalla piena solitudine dell'immobilità del luogo, da un'attesa eterna. In fondo, come sempre, ha proiettato le proprie difficoltà sugli altri, sull'ambiente circostante. Ha cercato giustificazioni che lo integrassero in un sentire comune, che gli facessero percepire quantomeno l'illusione di far parte di stati d'animo collettivi e condivisi.
  "Come riusciranno a vivere questa sospensione senza fine?" si è domandato. Ai suoi occhi tendenziosi, le loro espressioni erano gravate dal peso delle necessità contingenti, frutto di pensieri continui che soffocavano qualsiasi possibile sogno, eliminando il futuro in un presente dominato dal passato e dai ricordi. "Ci sarà spazio per la speranza in una realtà come questa? Riusciranno a condividerla?"
  Eppure gli sono sembrati felici.
  Rasentando il muro che corre a lato della via principale, ha intravisto un manifesto di propaganda politica tra le mille pubblicità. Su di esso ne è stato incollato un altro, che interrompe con impertinenza lo slogan originale. Sono rimaste leggibili solamente le parole: "Oggi sopravvivere, domani..." Ha immaginato una possibile conclusione a questa frase sibillina, cercando inutilmente una soluzione al dilemma esistenziale che gli proponeva. Pur con questa sospensione seducente, nella sua interpretazione personale del luogo, la scritta gli è sembrata una sintesi perfetta di ciò che lì ha incontrato.
  
  Seduto di fronte al mare, a occhi chiusi, naviga tra i suoi pensieri. L'Ansia lo attanaglia.
  Al timone di un veliero fantastico veleggia in balia del vento e della corrente continua causata dalle sue riflessioni tempestose. Vede la prua di un ipotetico futuro stagliarsi netta contro un orizzonte azzurro che progressivamente si annuvola e si ingrigisce. La vede lottare contro la resistenza delle forti onde provocate dal suo respiro affannoso.
  Nel continuo movimento oscillante e sempre più agitato dell'imbarcazione immaginaria, la polena con figura femminile cambia continuamente forma ed espressione. Gli ricorda, in successione, volti di compagne di viaggio lontane, svanite nel tempo. Gli evoca spiriti del passato, apparizioni inquietanti di esseri reali ora incorporei, che vorrebbe presenti al suo fianco, per aiutarlo in questa difficile lotta contro le intemperie della sua anima. Stringe con forza le manopole del timone e tendendo i muscoli del torace, per dare ancor più potenza all'aria che espelle dai suoi polmoni, le chiama ad alta voce, una a una. Grida, ma il forte rumore dell'ambiente burrascoso impedisce qualsiasi tipo di contatto. Le grandi gocce d'acqua, che cadono pesantemente da un cielo ora oscuro, e gli spruzzi sollevati dalla chiglia e accompagnati nel loro volo dal forte vento, lo colpiscono con forza sul volto. Lo obbligano a chiudere gli occhi, come per impedirgli di continuare a guardare avanti. Grida ancor di più, disperatamente. Ma tutto è inutile. Si sente impotente, senza forze, fantasma tra fantasmi.
  Dopo un ultimo tentativo, smette di lottare e abbandona definitivamente la nave al suo destino, in rotta verso l'incertezza di un futuro su cui non ha nessuna possibilità di controllo.
  La tempesta, che continua imperterrita davanti a lui, si contrappone alla bonaccia che regna alle sue spalle. Aiutata da una prospettiva ingannevole, la poppa del passato sembra giocare innocentemente tra le casette basse del paesino. Le sfiora dolcemente, quasi facendo cadere frammenti del loro intonaco scrostato per l'azione continua del sale e del vento. Evoca giochi lontani di un bambino solitario con compagnie immaginarie. Il sole della dimenticanza scolorisce ogni cosa e uniforma il paesaggio.
  Tutto sembra calmarsi. I pensieri turbolenti sul futuro si allontanano rapidamente verso l'orizzonte lontano, ma i ricordi del passato continuano ad accumularsi nella sua mente. Aiutati dalla fervida fantasia di una memoria senza pace, lottano tra loro e lo perseguitano. Sono ripetitivi e monotoni ma netti, ben definiti. Hanno colori vivaci, dal rosso di una passione non dimenticata al giallo, dal viola al verde di una speranza svanita. Colori che contrastano con l'uniformità provocata dalla forte luce chiara che illumina l'ambiente. Svolazzano giocando nell'aria. Danzano sopra di lui, disegnando una coreografia lenta, studiata e ripetuta infinite volte. E così continuano senza sosta, senza respiro, senza una soluzione possibile. La Noia e l'Angoscia lo imprigionano alternandosi senza fine.
  
  D'improvviso l'affollato ma monotono itinerario ondeggiante della sua mente è interrotto dai sonori rintocchi lenti e scanditi del richiamo di una campana a morto. I colori danzanti svaniscono rapidamente dietro a uno spesso sipario nero. Immagina che il funerale che si annuncia sia quello della vedova di uno dei vecchi capostipiti del paese, consumata inesorabilmente dall'immobilità del tempo. O quello di una giovane vittima dei frequenti incidenti stradali, una conseguenza spesso inevitabile dell'incoscienza sfrenata di vite dominate dalla completa mancanza di prospettive.
  Riapre gli occhi. Un brivido gelido corre lungo le sue vertebre, come contandole una a una. Per un istante, un fremito quasi impercettibile fa vibrare il suo corpo, che finora si era mantenuto immobile e apparentemente estraneo alla forte agitazione interiore. Un brivido gelido, amplificato e reso ancor più evidente dal calore del clima e dall'idea della morte che lo ossessiona.
  L'ha incrociata diverse volte sul suo cammino e, anche cercando di proseguire e di lasciarla alle sue spalle, lei lo ha accompagnato costantemente e in silenzio, manifestandosi in crudeli ricordi che si rinnovano nel tempo, senza fine. Come in un sogno, gli ritorna subito alla mente il sorriso spento sul volto del corpo freddo di sua madre. Un'immagine che lo perseguita insieme alla figura come addormentata di una bambina, con la pelle cianotica, composta in una piccola bara bianca. Assomigliava tanto alle sue sorelline che l'avevano aspettata con trepidazione e che non aveva avuto il tempo di conoscere, se non attraverso il suono ovattato delle loro voci e degli schiocchi dei loro baci a distanza, quando ancora si trovava in un caldo, limitato, amorevole mondo liquido, avvolgente. Il suo pianto non era riuscito a liberarsi durante il parto, spegnendo così la felicità e il sorriso di un'altra madre.
  Ora, insieme alle vibrazioni della campana che continua imperterrita il suo ufficio, percepisce la dissonanza provocata quando la nascita e la morte coincidono nello stesso momento. Una coincidenza che cancella in un istante tutte le felici aspettative verso il futuro vissute dai genitori nel passato. Alimenterà nel loro futuro il ricordo del doloroso fatto passato, in una specie di crudele antitesi temporale.
  Questi tristi ricordi lo portano a vedere se stesso esanime in una cassa scura, lo fanno riflettere su quale sia il reale confine dell'esistenza. "La morte non è un corpo senza vita, ma il dolore e la sensazione di vuoto e d'impotenza che provoca in quelli che rimangono" pensa. "D'altra parte si può essere morti pur essendo ancora in vita. Come si può provare dolore per aver perso se stessi."
  
  La sua memoria continua a lavorare senza sosta e lo riporta rapidamente indietro nel tempo, a un altro giugno di molti anni prima. Si rivede bambino in una stanza d'ospedale, sottoposto a ripetuti esami clinici a causa di una febbre persistente della quale si ignora la causa.
  Si ricorda che durante gli interminabili giorni di quel ricovero obbligato, fuggiva dalla stretta finestra di un bagno del reparto, dopo averlo chiuso a chiave, reso inutilizzabile per gli altri degenti. Fuggiva e passeggiava nei giardini che circondavano i blocchi dell'edificio. Il gusto del proibito si confondeva con una fatua idea di libertà dalla prigionia.
  In quella stanza d'ospedale rivede ora quel volto di madre, un'altra volta senza sorriso. Riascolta rimbombare le sue brevi parole: «La nonna è morta.» Un volto che appare insperatamente, parla e si allontana, lo lascia solo ad affrontare un dolore sconosciuto, non ancora provato nella sua breve vita. Solitudine e disperazione.
  "Com'è possibile?" Così aveva pensato in quel momento.
  Eccolo ora proprio nel giorno precedente a quella notizia, mentre la suora del reparto pediatrico lo accompagna a far visita a sua nonna, ricoverata nello stesso complesso policlinico per un tumore: «Signora, suo nipote è venuto a trovarla. Lo riconosce?» Nessuna reazione.
  Non la vede da molto tempo e anche lui stenta a riconoscerla, così sofferente, immobile, moribonda, ripiegata su se stessa, consumata dalla malattia.
  Trascorre interminabili minuti in silenzio, seduto al fianco del letto. Il tempo si è fermato. Repentinamente nella stanza, abitata solamente dai sommessi lamenti dell'ammalata, risuona la voce perentoria della suora in piedi sulla porta: «Dobbiamo andare, ma vedrai che domani tua nonna starà meglio.»
  Nell'ambiente freddo, una calda sensazione di felicità lo avvolge. "Dopo la mia visita starà meglio" pensa. "Forse guarirà presto." Ritornando nella sua stanza, cammina leggero con l'enorme gioia del sentirsi utile.
  L'indomani la notizia, il funerale, la bara aperta, il corpo composto. Un'altra immagine definitiva e indelebile.
  
  Lo scarno corteo funebre percorre lentamente i vicoli del paese di ex pescatori, ora quasi disabitato. Ogni pietra che i convenuti calpestano è familiare ai loro piedi e conosciuta nei particolari. Tutti gli abitanti partecipano all'evento, alcuni direttamente, altri sbirciando dalle persiane delle finestre socchiuse. È come un paese fantasma, con molte case vuote che attendono i villeggianti estivi. È un paese che in fondo chiede di essere abbandonato, per coltivare la speranza, per vivere. I vecchi e i giovani rimasti, senza slanci e senza sogni, sopravvivono nel loro piccolo mondo di quotidianità senza prospettiva, dominato dall'invidia e dalle ripicche. "Oggi sopravvivere, domani..."
  Eppure sembrano felici.
  Sanno tutto di tutti e ogni estraneo che appare diventa motivo di disequilibrio, di curiosità, di conversazione su di lui, ma non con lui. Così, gli sguardi dei partecipanti al corteo sono indecisi tra mettere a fuoco il carro funebre che accompagnano o quell'uomo solo sulla spiaggia che tanto li incuriosisce. Le voci alternano le preghiere e i canti, i commenti alle supposizioni.
  Tutto questo succede alle sue spalle. Lui rimane nella solita posizione, immobile. Non si volta, lo sguardo fisso verso la linea del mare, interminabile. Invitato dai continui rintocchi della campana, immagina il modo in cui avranno ricevuto la notizia i parenti, obbligati a una crudele distanza dai propri cari per la mancanza di opportunità nel loro paese d'origine. Immagina la loro disperazione e la sensazione di vuoto che li pervade. Riascolta un urlo lontano nello spazio e nel tempo, che ora risalta prepotente sul verso lamentoso e sinistro dei gabbiani in volo. Un verso così simile a un disperato pianto atavico.
  
  Diversi anni prima, un urlo straziante aveva squarciato l'aria densa di una monumentale città del Nord. Un urlo che più volte si era ripresentato alla sua mente nei tempi successivi. Un urlo lacerante, seguito da un movimento incontrollabile e sfuggente. Gesti inaspettati nel suo immaginario, ma prevedibili nella cruda realtà.
  Era stato portatore di una notizia terribile. Dopo un violento schianto, la morte aveva raccolto dal selciato di una strada andina il corpo di un amico, fratello di una compagna di gioventù. Non la vedeva con frequenza, da alcuni anni era andata a vivere in un'altra città.
  Quel giorno aveva preso il primo treno del mattino, dopo una notte insonne. La notizia l'aveva ricevuta casualmente, la sera precedente. Ed era subito corso dai genitori del defunto, distrutti dal dolore e soli nella loro disperazione. Si era offerto di partire per avvisare dell'accaduto la loro figlia lontana.
  Giunto a destinazione, dopo un viaggio pieno di preoccupazione e di inquietudine, l'aveva scorta avvicinarsi in compagnia di alcuni colleghi. Quando lei lo aveva intravisto, seduto su un muretto al bordo della strada che costeggiava l'edificio nel quale lavorava, si era allontanata sorridente dal gruppo e gli si era avvicinata rapidamente: «Che bella sorpresa! Sono proprio contenta di vederti.»
  Lui le aveva posto le mani sulle spalle, lei aveva capito che la visita non era di cortesia. «è successa una brutta cosa... Tuo fratello...»
  Un urlo continuo e indimenticabile. Mentre lui la stringeva, lei cercava di liberarsi con movimenti incontrollati. Le auto la sfioravano, indifferenti.
  
  È sempre seduto, immobile, di fronte al mare. La campana cessa di inviare nell'aria le vibrazioni dei suoi rintocchi regolari, lasciando di nuovo spazio alla percezione delle risonanze tranquillizzanti dell'ambiente marino. E con questo sfondo sonoro, si riapre il sipario per l'ennesimo atto della danza dei ricordi colorati. Si ripropone la solita coreografia, sempre più pesante e prevedibile. "Ciò ch'è stato, sarà."
  Per quanto la vita possa essere eterna in pochi minuti, è anche vero che può fluire molto rapidamente. In passato aveva spesso privilegiato la seconda opzione. Infatti, aveva affinato varie tecniche che gli permettessero di far scorrere il tempo velocemente, ma soprattutto di non pensare.
  A differenza di altre pratiche comuni con lo stesso fine, molto diffuse e per questo meno interessanti secondo la sua originale prospettiva, le sue tecniche non prevedevano l'uso di droghe, di alcool o di sostanze che potessero fargli perdere l'ipotetico controllo della realtà, annebbiando i riflessi e la mente. Al contrario, egli cercava di amplificare questi ultimi aspetti, ma ne limitava con forza la libertà.
  A questo scopo, il loro ingrediente principale era la ricerca di un equilibrio tra un ragionamento dai confini ben delimitati, sostenuto da una forte deduzione logica, e una manualità spesso aiutata dalla ripetitività. Si potrebbero associare a una specie di gioco logico e strategico, che occupa la mente in complessi problemi specifici e le impedisce così di divagare. Ma alla fine, così facendo, questo gioco intellettuale, che potrebbe essere gradevole se usato con moderazione, si trasformava in un'attività compulsiva che provocava dipendenza.
  Nello scorrere della quotidianità, questa specie di arido mantra materiale e silenzioso, che escludeva o limitava con forza l'intuizione, aveva progressivamente e quasi completamente sostituito la sua fertile attività creativa artistica. Un'attività gratificante, che gli permetteva di difendersi dalla sofferenza e di elevarsi sopra di lei con equilibrio, oltre a ottenere il medesimo scopo di modificare la percezione del trascorrere del tempo.
  Nei momenti in cui non riusciva o non poteva applicare queste tecniche funzionali, però, il mondo gli crollava addosso, sottolineando così la loro parziale e sterile essenza. Tutto quello che cercava di evitare si accumulava, esplodeva e dava vita a interminabili momenti terrificanti, lasciandolo in balia di se stesso, della sua disperazione e del pianto. E qui, sulla spiaggia, lontano da un ambiente familiare o conosciuto e senza gli strumenti necessari, è molto difficile pensare di mettere in atto queste vecchie pratiche.
  
  Gli sono sempre piaciuti l'autunno e i tramonti. Il primo è ancora lontano, forse troppo, ma ora, proprio di fronte a lui, il sole si avvicina sempre più al confine tra l'azzurro del cielo e quello del mare. Appare e sparisce tra i disegni sinistri di lunghe nubi chiare sfumate di rosa.
  Nell'ultimo anno, oltre alle tecniche pratiche per non pensare, che nel tempo si erano rivelate utili solo parzialmente, aveva cercato di affinare anche la capacità di ridurre l'affollamento della sua mente. Con metodi di meditazione, la manteneva nel presente ed evitava ai pensieri di rovistare nel passato recente e lontano o di immaginare situazioni future. Inoltre aveva cercato di perfezionare la capacità di estraniarsi, poi sapeva vedersi dall'esterno presenziando alle proprie azioni, riusciva a guardarle con lo sguardo del mondo in un'osservazione distaccata e senza pregiudizi.
  Chiude gli occhi e cerca di vedere i particolari con la mente. Cerca di prendere coscienza di sé, allontanandosi da un livello soggettivo. La qualità del suo osservare è così profonda che, da osservatore, passa a essere l'oggetto della propria osservazione.
  E così, si vede mentre parla amabilmente con gli abitanti di un ridente paesino del Sud, al termine della primavera. Parlano della vita. Durante questo dialogo ideale, inizia a rendersi conto di come sia possibile essere se stessi nel momento esatto in cui si vive, in un presente che, sebbene sia il frutto di tutte le esperienze del passato, delle sofferenze ma anche delle gioie, si allontana dall'illusione del trascorrere del tempo. Le semplici parole che ascolta dalle voci dei locali, lo invitano a considerare la possibilità di vivere ogni momento per quello che è, non importa ciò che è stato né quello che sarà. Sì, parlano della vita, ma soprattutto sono curiosi di sapere chi sia quell'uomo sulla spiaggia, che sembra essere così sereno nel suo contatto con la natura. Quell'uomo seduto di fronte al mare, al tramonto, nel vento, sotto una danza di colori della quale non conoscono l'origine, ma che li meraviglia.
  Mentre la sfera rossa si inabissa lentamente dietro alla linea dell'orizzonte, le poche nubi rimaste, grigie e arancioni, disegnano figure fiabesche sull'azzurro sempre più intenso del cielo. Lo vedono alzarsi, camminare verso la profondità del mare accogliente, dove i rumori si trasformano, ovattati. L'immenso blu lo riceve in un affettuoso abbraccio materno. Immaginano di sentire forte il battito del suo cuore e il diaframma protestare inutilmente.
  Eppure sembrava felice.

[continua...]


Estratto da Abel Soledad.
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